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Articoli 2 Il Sole 24 Ore Nova 24, 5 aprile 2007 5 Aprile 2007

La scienza per la fragile Terra

La Terra azzurra degli astronauti vista dal mondo. A Tokyo Expo del futuro

DA TOKYO – STEFANO CARRER 

Deliri da letterati ed elaborazioni degli astrofisici, simulazioni di computer e sensazioni da astronauti: tutto porta alla medesima conclusione. Il Pianeta Terra è piccolo e fragile e il destino dell’uomo su questa casuale e minuscola porzione dell’universo si gioca nel preservare delicati equilibri già in parte compromessi. È la certezza che si acquisisce – se già prima non la si aveva chiara – mettendo piede nel museo del futuro che sorge a Odaiba, il quartiere di Tokyo frutto di una recente pianificazione urbana che ha puntato sul trinomio strutture scientifiche, arditi design architettonici e centri di divertimento. Tre elementi che si ritrovano nel Miraikan, una nuova tipologia di museo della scienza con la missione di porre in contatto il grande pubblico con le innovazioni più avanzate della “saggezza del Ventunesimo secolo”.
All’esterno, un’enorme rotondità vetrata che richiama un prototipo mentale di stazione spaziale; dentro, oltre 8mila metri quadrati di spazi espositivi visitati ogni anno da quasi 800mila persone: un business sostenuto da 317 addetti e 846 volontari dai 15 agli 82 anni. Comprende anche un planetario che, unico al mondo, porta a oltre 5 – rispetto al massimo di 2 degli altri – i milioni di stelle fisse proiettate, che pure sono quasi tutte invisibili a occhio nudo. Il programma del «Megastar-II Cosmos» si intitola «Un pianeta per caso».
La Terra è il simbolo dell’intero museo: sta sospesa e troneggiante nel vuoto di sei piani, in una sfera dal diametro di 6,5 metri, dentro la quale un milione di diodi (Led) proiettano luci sulla sua superficie consentendo una grande varietà di immagini in movimento. La sfera sospesa cattura dati satellitari per dar corpo a una visione realistica – aggiornata ogni ora – della Terra vista dallo spazio; ma all’occorrenza simula e velocizza i cambiamenti atmosferici grazie al supercomputer dalle performance più avanzate del mondo – chiamato appunto «Earth Simulator» -, fino a saper fare proiezioni coloratissime sugli effetti del “global warming”.
«È sempre stata una mia idea, da quando sono per la prima volta andato nello spazio: condividere con il maggior numero di persone la visione bellissima e fragile della Terra vista dalla prospettiva più insolita», dice Mamoru Mohri, 59 anni, direttore del Miraikan, nonché primo astronauta giapponese sullo Shuttle americano (127 orbite terrestri e 43 esperimenti spacelab nel 1992, e altre 181 orbite nel 2000, per un totale di oltre 459 ore nello spazio).
Mohri ha una delle facce più conosciute del Giappone e i visitatori si entusiasmano nel riconoscerlo, quando lo vedono all’ingresso della navicella spaziale ricostruita dentro il museo. Lui non si esime dal fare da cicerone e dal rispondere alle domande, anche le più ingenue. Parla degli esperimenti scientifici nella produzione di cristalli ad alta qualità, ma anche della quotidianità nello spazio. «Vedete come dorme un astronauta?», dice indicando una sagoma tenuta in posizione verticale, un misto tra un sacco a pelo e una imbragatura. Lassù si dorme letteralmente in piedi, insomma, se l’espressione può avere senso. E come va in bagno un astronauta? La gente è curiosa: nessuno ha mai visto il gabinetto di uno Shuttle, con i suoi aggeggi indispensabili quanto inquietanti.
In Giappone non è sconveniente parlare di certe cose: alla sezione sull’Ambiente terrestre e le frontiere dell’ecologia, l’ingegnere astrofisico Yasushi Ikebe, che fa da guida, indica con serietà l’illustrazione del circolo dell’esistenza biologica, che mostra una natura programmata a riciclare anche gli escrementi: preliminare alla spiegazione del concetto di biomasse come introduzione alle energie alternative. Nel modulo abitativo spaziale ricostruito al Miraikan, spicca dunque il suggerimento di quanto le conquiste prometeiche dell’umanità siano connesse all’umile fatica del dormire o dell’andare in bagno in assenza di gravità.
Se per i giapponesi è stato un duro colpo all’orgoglio nazionale che siano stati i cinesi a mandare da soli i loro uomini nello spazio, Mohri non fa mistero di esserne invece contentissimo: «Più gente di più Paesi va nello spazio, più crescerà la coscienza ecologica: chi va di sopra torna cambiato, più sensibile alla fragilità della Terra». Mohri ritiene invece «un grande errore, sotto tutti i punti di vista» l’esperimento militare recente dei cinesi – l’abbattimento programmato di un satellite – che rischia di accelerare l’uso dello spazio per fini non esclusivamente scientifici.
Alla visionarietà del direttore fa riscontro lo spirito terra-terra della sua collaboratrice Yumiko Kinoshita, responsabile dello sviluppo: per lei il museo è «un brand da rafforzare» per attrarre più visitatori; il problema non è il destino del pianeta ma «l’aumento della riconoscibilità del marchio» e «il superamento di una immagine pubblica dettata dalla prima impressione». Così Kinoshita sta cercando di accelerare la proiezione internazionale del museo, con la firma di nuovi memorandum di intesa (oltre ai 4 già in corso con musei in Usa, Australia, Corea e Svezia), e sottolinea l’importanza della prossima convention al Miraikan dei musei scientifici asiatici (nel decennale della relativa associazione, l’Aspac).
In programma, quest’anno, sono anche due importanti esibizioni speciali: una – «Power of Asia, Power of Science», dal 2 giugno al 2 settembre – che avrà una sezione di simulazioni sul futuro più o meno sostenibile del continente; un’altra intitolata «Underground» (22 settembre-28 gennaio 2008) come «avventura nella oscurità, creata da scienza e immaginazione – sul sottosuolo terrestre in prospettiva interdisciplinare, dalle minori profondità urbane a quelle biosferiche – con tanto di progetto di capsula del tempo (con messaggi e semi di sopravvivenza) da aprirsi tra 5mila anni». Per Kinoshita, è chiaro, il museo deve bilanciare la sua missione divulgativa con l’efficacia nella trasmissione di una esperienza formativa di intrattenimento.
Il museo deve stupire e lo fa. Il beniamino del pubblico è ancora il robot umanoide Asimo della Honda, seguito dal simpatico Paro, il robot che sostituisce il gatto di casa: se toccato, fa le fusa, e può svolgere un compito psicologicamente importante per le persone sole o con problemi vari, che non sono in grado di “gestire” la compagnia di un animale vero. C’è più coda alla postazione di dialogo interattivo con i robot umanoidi che non alla sezione sulle nuove frontiere della medicina molecolare. Il Miraikan, insomma, mostra il futuro ma vince nel presente con formule di marketing che altri musei scientifici dovrebbero copiare: un direttore famoso e disponibile per il pubblico, tre o quattro elementi che stupiscono tutti, e divagazioni tecnologiche varie che siano uno spasso sia per gli adulti sia per i bambini.

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