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IL GIAPPONE DI ABE TRA RICORDO DI HIROSHIMA E SVOLTA INTERVENTISTA

Ieri il 70° anniversario, 50mila persone al Memoriale

Presto le nuove leggi sull’impegno militare all’estero

Il 14 agosto: attesa per il discorso del premier in occasione dell’anniversario della fine della guerra: sottolineerà il passato imperialista?

7 agosto 2015, da HIROSHIMA – (La ricorrenza) È preceduta da una gaffe davvero atomica da parte del Ministro della Difesa: Gen Nakatani ha detto, e subito ritrattato, che in futuro le forze giapponesi potrebbero trasportare armi nucleari altrui. Coincide con il rilascio di un discutibile rapporto di consiglieri del premier sulla storia degli ultimi 100 anni, in cui si evidenzia che non tutti gli advisor sono d’accordo nel definire come «aggressione» l’espansionismo giapponese degli anni Trenta. Sarà seguita in agosto dal ritorno del Paese all’energia atomica civile (post-Fukushima) con la riattivazione della centrale di Sendai, nel Kyushu, mentre a settembre è attesa l’abrogazione del tabù pacifista contro ogni intervento all’estero delle Forze di Autodifesa.

È caduta davvero in un momento delicato la cerimonia di ieri a Hiroshima, 70 anni dopo la distruzione della città (con 140.000 morti), che ha visto oltre 50mila persone alla Parco della Pace, con rappresentanti di 100 paesi (tra cui l’ambasciatrice Usa Caroline Kennedy), voli di colombe e cori, testimonianze di hibakusha (i sopravvissuti all’atomica, tra malattia e sofferenze) con traduzione simultanea. Più un festival serale delle lanterne davanti all’arcinoto edificio a cupola, unico del centro della città ad aver resistito in parte alla bomba: l’ex centro fieristico quest’anno compie i suoi 100 anni, di cui 70 da simbolo di morte e 19 da patrimonio dell’Umanità Unesco. Inaugurata per l’occasione anche l’ultima opera di Yoko Ono: un grande orologio fermo sulle 8.15 del 6 agosto, data che il mondo non potrà dimenticare.

Un giorno che è sempre l’occasione per appelli al disarmo nucleare contro la guerra, su cui sembrano tutti d’accordo, dal premier Abe (che ha pure preannunciato una nuova iniziativa in autunno per una risoluzione Onu) agli esponenti religiosi e della società civile riuniti nel convegno “Mai più la guerra!” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Senza contare, ovviamente, il sindaco Kazumi Matsui, che ha invitato Obama a Hiroshima e, nella tradizionale “Peace Declaration”, ha sottolineato che, finché ci saranno armi nucleari al mondo (e ce ne sono oltre 15mila) «ciascuno di noi può da un momento all’altro diventare hibakusha». Per una giornata insomma, è il momento dell’idealismo anche con sconfinamenti nell’utopia.

Il punto, però, è che oggi il Giappone è lacerato di fronte a una svolta storica.

I manifestanti che esprimevano ieri opposizione alla politica governativa si mostrano fautori di un Paese che continui a essere il modello di pacifismo che è stato per tutto il dopoguerra: 70 anni in cui nessun giapponese in divisa ha ucciso o è stato ucciso. Il premier Abe, considerato propenso all’ideologia, può comunque fondare su un duro realismo politico l’obiettivo del “ritorno alla normalità” dell’unico Paese che non si autoriconosce ancora il diritto alla “difesa collettiva” ammesso per tutti dall’Onu.

Le nuove leggi in accesa discussione alla Dieta prevedono che, per la prima volta, il Giappone post-bellico possa intervenire militarmente oltre i propri confini, in difesa di alleati.

 Gli oppositori vi scorgono la premessa della partecipazione nipponica a future guerre americane. Sono proprio gli Usa a sollecitare un ruolo meno passivo dell’alleato, al quale garantiscono l’ombrello nucleare e anche sangue americano nell’eventuale difesa delle stesse isole Senkaku, rivendicate da una Cina lanciata verso una influenza e una potenza sempre maggiori.

Il primo cittadino di Hiroshima e il suo collega di Nagasaki restano capofila del movimento dei “Sindaci per la Pace” che invoca l’abolizione delle armi nucleari entro il 2020, ma non prendono posizione sull’ angoscioso dilemma politico dell’ora. Lo fanno gli hibakusha rimasti, età media di oltre 80 anni. «Da testimoni viventi, ancora per poco, degli orrori della guerra – dice uno di loro, Yoshitoshi Fukahori, 86 anni – siamo per avere fiducia più nel dialogo che nella corsa alla cosiddetta deterrenza».

 Un sondaggio li vede schierati a grande maggioranza anche contro il nucleare civile. Davanti al “Dome”, alcuni attivisti tracciavano un parallelo tra Hiroshima e Fukushima attribuendo oscuri disegni alle lobby dell’atomo e delle armi convenzionali.

In tanti sono poi perplessi per il modo di procedere di Abe che, non avendo i numeri alla Camera Alta per attuare una riforma costituzionale, ha deciso di raggiungere l’obiettivo attraverso una nuova “interpretazione ufficiale” della Costituzione, contestata da molti giuristi. Matteo Renzi – nel corso della sua visita in Giappone terminata martedì – ha detto che Abe gli ha confessato di essersi dovuto sorbire già 330 ore di dibattito parlamentare sulle nuove leggi (mentre i critici continuano a dire che la discussione è insufficiente). Tiepidi applausi dalle prime file e qualche urlo in lontananza hanno accolto ieri il discorso di un premier in netto calo di popolarità. Tanto che gli analisti finanziari si interrogano sul destino delle riforme promesse dall’Abenomics, dato che sta pure venendo meno il loro propulsore esterno a causa dello stallo nei negoziati multilaterali di libero scambio della TPP.

 Domenica prossima Abe ripeterà a Nagasaki l’anodino discorso sull’«importante missione» che il Giappone-vittima ha nel promuovere il disarmo nucleare. Gli occhi di tutto il mondo saranno puntati su di lui il 14 agosto, quando rilascerà un attesissimo “statement” per l’anniversario della fine della guerra. L’ex premier Tomiichi Murayama, oggi 91enne, in un incontro di qualche giorno fa con la stampa estera, ha detto che sarebbe un gravissimo errore per Abe il non ripetere con la stessa intensità le scuse per il passato imperialista che lui fece nel 1995. L’interesse dello Stato e della sua politica richiedono parole sul passato che ridimensionino i dubbi, all’interno e all’estero (specie in Asia), sugli scopi e sviluppi futuri della sua politica di sicurezza.

Vedremo se si comporterà da statista o se cederà al suo demone ideologico e ai falchi del suo partito.

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