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Legacy Ospiti Affettuoso omaggio del fotografo Maurizio Galimberti e recensione del suo libro “Il mosaico del mondo”
17 Settembre 2022

Affettuoso omaggio del fotografo Maurizio Galimberti e recensione del suo libro “Il mosaico del mondo”

17 Settembre 2022

Il commento alla foto "S. C. 1975"

In copertina

20 Giugno alle ore 09:24 · Instagram
La Fotografia di oggi è un omaggio a Stefano Carrer, un grande giornalista de Il Sole 24 Ore, morto prematuramente causa una caduta in montagna nel 2020.
Stefano da ragazzo d’estate condivideva il lavoro di edile nell’impresa di mio padre, aiutava suo papà Guido come assistente muratore, a volte lavoravamo insieme, facevamo e portavamo la malta, chiacchieravamo durante il lavoro, lui era brillante e carico di sogni!
Ricordo che il sig. Cesare Cassina mitica figura nel mondo del design per cui l’impresa di mio padre lavorava, appena ci parlò insieme un pomeriggio, si rese conto dello spessore di Stefano e gli predisse un grande futuro nel mondo della cultura!
Così è stato!
Stefano ha scritto articoli meravigliosi da tutto il mondo per Il Sole 24 Ore in particolare!
Ho voluto omaggiare la sua famiglia con questo mio ritratto Ready Made di Stefano a perenne memoria della bella persona che era (così come suo padre Guido che a 91 anni si era emozionato vedendo questa immagine).
Il suo guardare in alto spero restituisca allo spettatore uno Stefano contemporaneo con tutti i suoi sogni ancora da realizzare!
Alla ricerca di una immagine che parli sempre di futuro e non di passato!
Ciao Stefano!

Maurizio Galimberti
Ready Made Fuji Instax 2022
Manipolato a caldo By MG

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17 Settembre 2022

È dai ponteggi che nasce l'arte

Per arrivare al bilancio dei primi 40 anni e più di attività da Instant Artist dietro l’obiettivo della Polaroid, Maurizio Galimberti racconta con passione il suo bulimico rapporto con la fotografia, che nutre con grandi abbuffate di letture, mostre, viaggi, rapporti di lavoro, a volte troppo fugaci, e grandi amicizie, come quella con Denis Curti – che lo accompagna in questa sincera e corposa stesura – o con Lanfranco Colombo, o Giuliana Scimè, sua severa critica.
Il mosaico del mondo è un libro generoso, denso e scritto benissimo, che racconta i riferimenti culturali, letterari e iconografici di questo self made man, figura eccentrica e di prestigio nel mondo della fotografia d’autore, in cui si fa largo armato solo della inconfondibile scatoletta di plastica, nota e popolare per le immagini istantanee.
Il geometra di Meda – definizione che ancora patisce, oggi più che riduttiva – compone la sua estetica professionale divorando le lezioni dei più grandi, in parole e immagini: solido filo conduttore anche di questa biografia, che scorre tra futurismo e cubismo, tra Boccioni e Duchamp, Braque e Picasso, Munch e Caravaggio. Approda al Tiepolo, di cui rielabora per la Biennale d’Arte 2017 il dipinto Scena di Carnevale, con un procedimento che dalla tela va alla più asettica fotografia, per tornare materia, di nuovo su tela. C’è sempre fisicità, quasi il desiderio di lasciare qualcosa di se stesso, nel modo di comporre, sporcare, maltrattare le tessere dei suoi mosaici, grandi e piccoli, a partire da quelli di nove scatti fino ai quattrocento dell’immenso assemblaggio per il Duomo di Milano. O il Cenacolo vinciano.
“La Polaroid è per me un mezzo straordinario, mi fa stare bene, non ho bisogno di altro per scattare. Il mio teleobiettivo è fare un passo avanti, il mio grandangolo è farne uno indietro”. Una frase meravigliosa, una visione pura e semplice del suo lavoro, seppure affastellando continue ricerche e viaggi frenetici in tutto il mondo. Si arriva ai celebri ready made, foto a mosaico che scompongono paesaggi, monumenti e soprattutto volti: a cominciare dallo spiazzante ritratto di Johnny Depp, del 2003, che gli dà fama planetaria, e lo trascina nel gotha delle star, come Robert De Niro, che si commuove ritrovando nel lavoro su di lui, seppure fatto con ritrosia, i volti dei genitori; Lady Gaga, Anjelica Houston…
Altri maestri. Man Ray, Henri Cartier-Bresson, Robert Frank, Luigi Ghirri, Mapplethorpe, Avedon, fino a David LaChapelle: Galimberti assorbe, assimila tutte le lezioni dei grandi, poi trova un suo senso; e uno dei capitoli più interessanti è il rapporto con i committenti privati, marchi del food, o dell’automobile, o la moda e il design, lo sport. Spicca in queste pagine il desiderio di gettarsi in un’avventura piena di incognite e di affermarsi anche in questo ambito per la sua arte… gustoso l’episodio con Cartier.
Per contrasto, mi piace chiudere questo commento con la dimensione privata del maestro, che in realtà in questo libro ripercorre in sequenza cronologica anche la sua vita. Nato a Como nel 1956, abbandonato, vive in orfanotrofio fino all’adozione da parte di una coppia meravigliosa. Il padre è un imprenditore edile, mancato troppo presto, come un altro fratellino adottato, portato via dalla meningite. La mamma è mancata da poco, a 103 anni. C’è il racconto del matrimonio, la gioia dei due figli e dei nipoti, il divorzio, a causa della sua vita spericolata. E c’è infine la ricerca della matrice più intima e profonda della sua tecnica di lavoro, quelle composizioni a mosaico nella griglia del bordo Polaroid. Torna il ricordo del cielo, del fuori, che il Maurizio bambino vedeva attraverso le grate alle finestre dell’orfanotrofio. Un commovente, indelebile dramma interiore per cui si può provare solo empatia.
Infine, mentre scrivo guardo e riguardo i ready made di questo libro e molti altri ammirati in varie occasioni. Vedo spesso una forma a cuspide; anche il ritratto di Depp si potrebbe inscrivere nelle linee di una casa con il suo tetto, quasi infantile. Anche le rielaborazioni di scatti di altri, filone importantissimo del suo lavoro (qui è riportato quello celebre di Falcone e Borsellino) salgono e si restringono verso l’altro. Le tessere alla base sono le fondamenta di un edificio di mattoncini a due dimensioni, squadrati e tenuti insieme da una malta immaginaria. Poi il soggetto, ben saldo, esplode verso l’alto, come in una cattedrale gotica: come nel mosaico di Nadia Comaneci, sicura anche nel moltiplicarsi della sua evoluzione da dieci. Ma anche nelle foto più statiche ritrovo questo senso, e guardo e riguardo lo svettare di Secret Forest.
Più che all’orfanotrofio, quindi, si torna ai giorni del cantiere – il lavoro che abbandonerà – col papà Giorgio: “L’unica cosa in cui sono davvero bravo è calcolare la disposizione dei ponteggi in ferro attorno agli edifici. Penso spesso a questa mia particolare predisposizione a vedere per griglie, come se il mondo fosse un enorme mosaico, e sono convinto che il mio modo attuale di fotografare nasconda una grande nostalgia di quei giorni lontani, in cui potevo contare sulla presenza rassicurante di mio padre”.

a.m.

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