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MILANO 7 DICEMBRE: LA PRIMA DELLA SCALA

C'ERA UN RAGAZZO CHE COME ME AMAVA "NORMA" E "BUTTERFLY"

UN MELOS – RICORDO DI STEFANO

Ci siamo! Ancora pochi giorni e si rinnoverà il rito del 7 dicembre con l’inaugurazione della “Stagione d’Opera e Balletto” del supremo tempio milanese dedicato all’arte di Euterpe e Tersicore e, con esso, la caratteristica atmosfera, eccitante e febbrile, per noi inguaribili melomani, magica e avvolgente, per i milanesi tutti, che solo i grandi eventi sanno evocare. Complice un’età che il sommo Poeta definirebbe “oltre la metà del fatal cammino”, ho maturato, di recente, una qual inclinazione a rivestire di circonfusa nostalgia gli avvenimenti vissuti, passati sì, ma ancor vivi e palpitanti nella memoria, tesoro prezioso, quest’ultima, che fa della Storia personale di ciascuno di noi, testimoni di quel che siamo. “È in questo alveo che mi sorge naturale e spontaneo ripensare, in queste ore, a Stefano, mio amico, prima che cugino, con il quale ho intensamente condiviso per anni, tra l’altro, una viscerale passione per la musica ed un certo decadente gusto per quel mondo popolato di sfortunate eroine, le tante Violette, Cio-Cio-San, Mimì, Adriane, Elvire, ed altrettanti eroi, i Manrico, i Werther, i Des Grieux, personaggi il cui sentire estremo rendono così “molle” la nostra anima: un’oasi ristoratrice, nell’arido deserto dei tempi odierni, che corrono, distratti, cinici e disincantati.

Il seme della nostra passione giunge da molto lontano, quando, appena undicenni, ci avventuravamo a commentare acerbamente, nell’ora di musica, la Pastorale di Beethoven, provando interesse per il solo quarto movimento, “Il Temporale” (beata presuntuosa innocenza) e trovando eccitante Alexander Nevsky di Prokofiev, lussuosa colonna sonora dell’omonimo film muto di Eisenstein.

Durante l’adolescenza, al repertorio sinfonico accostammo il mondo dell’Opera, mediato dalle grandi trascrizioni per banda. Militavamo, entrambi, nel Corpo Musicale Santa Cecilia che, prima di convertirsi definitivamente al repertorio più moderno, dedicava una parte dei concerti alla tradizione operistica, italiana e non. Tra le Fantasie operistiche eseguite, Stefano si esibì, come solista di flicorno soprano, nello stornello di Lola “Fior di giaggiolo….” dalla Cavalleria Rusticana ed il sottoscritto, al flicorno tenore, in Rigoletto, Traviata e Carmen.

La nostra “prima volta” alla Scala risale a una domenica di aprile 1983, con Wagner. Si dava il Lohengrin diretto da Abbado con la memorabile regia di Strehler. La mattina di quella domenica ci preparammo allo spettacolo, ascoltando l’Opera in una mia incisione diretta da Leinsdorf, con il mirabile Sandor Konia protagonista. Pur conoscendola ancora superficialmente, istintivamente individuammo il nodo drammatico di quel capolavoro romantico nell’atto di fede che Lohengrin richiede ad Elsa, che le sarà fatale, poi, nel terzo atto: “Mai devi domandarmi qual sia il mio nome, la provenienza e la stirpe….” (“Nie sollst du mich befragen….” ), tema che, in un improbabile tedesco, imparammo a memoria e che, di tanto in tanto, per gioco, riesumavamo nei decenni successivi. Lo spettacolo: un’autentica folgorazione. Ancor vivo l’incanto provato all’apparire del Cavaliere del Cigno, di bianco vestito, illuminato, lui solo, da una luce perpendicolare, nella penombra generale in cui erano immersi coprotagonisti e popolo brabantino. O la sua commovente e inevitabile dipartita, conseguenza della palese debolezza dell’Amata. Un’aura di sacralità che dal palco si riverberava in tutto il Teatro. Un’impressione profonda che in me si tradusse in vera passione per il repertorio wagneriano, che avrei coltivato con fervore negli anni successivi. Seppur  anch’egli colpito, tuttavia, Stefano, rimase sempre un po’ tiepido nei confronti del repertorio tedesco prediligendo le temperature al calor bianco del melodramma italiano. Dopo quella nostra Prima, scoprimmo le code per acquisire l’agognato biglietto degli ingressi alle Gallerie, iter che sarebbe stato, per l’avvenire, la nostra consuetudine. Erano i biglietti più economici e infelici, per la loro limitata visibilità, messi in vendita solo due ore prima dello spettacolo. Vere e proprie prove di resistenza che potevano durare la notte precedente e l’intera giornata dello spettacolo. Vi si trovava un’umanità variegata ed eterogenea per età ed estrazione, accomunata dal medesimo interesse.  Stefano ed io ci divertivamo a immaginare la vita quotidiana, al di fuori di quel contesto, di quegli uomini e donne in fila, e a osservare con curiosità quel microcosmo dove, oltre agli appassionati, si distinguevano alcuni personaggi, a dir poco, folkloristici e grotteschi, nel fisico e nelle movenze circospette, che della musica coglievano solo l’intrinseca opportunità di business. Con la fantasia li arruolavamo, quali perfetti interpreti, per qualche pellicola felliniana, di cui Stefano era acceso estimatore. Avevamo trovato anche gli appellativi, in parte declinati dai loro nomi e in parte dalle loro figure, così caratteristiche: “Gianni il milanese”, “il Silvio”, “il Grigio”, “il Faina”, “il Gatto”, “lo Zoppo”, involontarie caricature che ci ricordavano gli Alvaro Vitali e i Ciccio Ingrassia di Amarcord.

Oggi, ma sono ormai alcuni anni, di quelle stoiche e romantiche code è rimasto ben poco. Molti volti conosciuti in oltre trent’anni non ci sono più. E, con loro, si è annacquato anche un certo spirito appassionato che vi aleggiava, erede di una secolare tradizione tutta meneghina. Il ricambio: purtroppo, stenta, nonostante le iniziative scaligere per i giovani. Negli anni vedemmo tanti spettacoli insieme, non disdegnando alcune trasferte a Como, al suo bellissimo Teatro Sociale. Ricordo in particolare una Norma, tanto amata da Stefano e una Madama Butterfly, la sua Opera certamente preferita, perché, sia nell’ambientazione sia nel carattere delicato della protagonista, incrociava l’altra sua grande passione: l’amore per il Sol Levante, la sua cultura, i suoi costumi, i suoi peculiari caratteri. E verso quei lidi – dopo una parentesi lavorativa newyorkese, durante la quale, mi narrò, assistette a memorabili rappresentazioni al Metropolitan – si trasferì come inviato e corrispondente in Asia del Sole 24 Ore. Da lontano, sui social, lo seguivo. In particolare in una serie di interviste ai protagonisti della Scala in tournèe o a cantanti e musicisti di passaggio in Giappone.

Tornato stabilmente a Milano, negli ultimi anni, ripresero le nostre frequentazioni scaligere, talvolta insieme o confrontandoci sugli spettacoli a cui assistevamo separatamente.

Era anche alla Prima Rappresentazione del Turco in Italia di Rossini la sera di sabato 22 febbraio 2020. Direttore Diego Fasolis, regia di Roberto Andò. Il giorno successivo il Teatro avrebbe chiuso i battenti per lockdown, riaprendo solo l’11 maggio 2021.

L’ultimo nostro progetto musicale, fatale a causa del tragico destino avverso, non ebbe modo di realizzarsi: un “pellegrinaggio” a Bayreuth, il tempio della musica di Wagner, per assistere a una nuova produzione del Ring e, come un cerchio che si chiude, ad una “ripresa” del Lohengrin diretto da Thielemann, la stessa Opera con cui ci iniziammo alla Scala. L’anno in cui è mancato Stefano anche il Festival di Bayreuth fu sospeso a causa del Covid e solo due anni dopo, l’estate di quest’anno, 2022, ho potuto, insieme all’amico Roberto, presenziarvi portando, commossi, Stefano idealmente con noi. Come accennavo nell’incipit, tra qualche giorno il Boris Godunov avvierà la nuova Stagione scaligera. Una grandiosa Opera russa in un tempo ottenebrato in cui, assurdamente, tutto ciò che “profuma” di russo è messo all’indice. Come Stefano, insaziabile curioso e affamato di Cultura, credo profondamente nel messaggio universale della Musica, capace di superare barriere, innalzare spiriti, unire popoli, e sono certo, sanguigno come egli era nei casi di coscienza, sarebbe insorto contro i novelli Savonarola che propongono il boicottaggio, confondendo Mussorgsky e la sua immensa Arte con la meschinità e l’abominio dei dittatori. Ciao Stefano, ci “sentiamo”, a proposito di questo meraviglioso Boris. (Magia della Musica, capace di realizzare ciò che solo in apparenza è impossibile).

Giulio Frigerio